Le previsioni del modello cosmologico hanno confermato:l’Universo ha 13,8 miliardi di anni

Secondo le moderne teorie, il nostro Universo ha avuto inizio da un’enorme esplosione, il Big Bang. Si ritiene che, prima di questo evento, tutta l’energia e tutta la materia dell’attuale Universo fossero compresse in un punto infinitamente piccolo; con il Big Bang si ebbe la liberazione di questa energia, a seguito della quale tutte le particelle di materia iniziarono a formarsi e ad allontanarsi rapidamente le une dalle altre.
Subito dopo l’esplosione, che sarebbe avvenuta intorno a 13,7 miliardi di anni fa, la temperatura era di circa 100 miliardi di gradi Celsius (°C). La materia era presente sotto forma di particelle con carica positiva, chiamati protoni, oppure prive di carica, i neutroni; a causa dell’elevata energia, queste particelle si scontravano tra loro aggregandosi e formando così quelli che sarebbero divenuti i primi nuclei atomici. Successivamente, quando l’Universo raggiunse una temperatura di circa 2500 °C, i protoni presenti nei nuclei cominciarono ad attrarre piccole particelle con carica negativa, detti elettroni, che resero possibile la formazione dei primi atomi. A partire da questi atomi, col passare del tempo, si sono originati tutti i pianeti e le stelle del nostro Universo, compresi la Terra e il Sole.
Molte nuove teorie prevedono l’esistenza di una realta che precedeva il Big Bang. E in un certo senso l’analisi delle onde gravitazionali originarie che abbiamo appena registrato potremmo darcene le prove.
Fino a qualche anno fa i fisici reagivano a questa domanda rispondendo che lo spazio tempo è nato con il Big Bang, quindi non può esserci un prima. Ora le cose sono cambiate.
Quanto è vecchio il nostro Universo? La risposta del modello cosmologico standard è che tutto ha avuto inizio 13,8 miliardi di anni fa con il Big Bang. Ma negli ultimi anni diverse ricerche hanno suggerito che in realtà l’Universo potrebbe essere ben più giovane di così, perché sarebbe in espansione ad una velocità più alta di quanto ritenuto in precedenza, e questo ovviamente modificherebbe le stime sulla sua età. Le recenti analisi dell’Atacama Cosmology Telescope potrebbero mettere la parola fine alla discussione, visto che, come descritto in tre paper in attesa di pubblicazione, confermano quasi perfettamente le previsione del modello standard.
L’ Atacama Cosmology Telescope è un telescopio di sei metri costruito nell’omonimo deserto messicano da una collaborazione scientifica internazionale, con uno scopo molto preciso: studiare la radiazione cosmica di fondo. Ovvero la radiazione elettromagnetica che permea l’Universo, considerata ciò che resta della prima luce apparsa dopo il Big Bang, quando (circa 380mila anni dopo la nascita dell’Universo) protoni ed elettroni hanno iniziato ad unirsi per formare i primi atomi. Una fonte di informazioni preziose per gli astrofisici, che può fornire indizi sulla nascita, sulla natura, e sulla fine del nostro Universo.

“Quello che stiamo facendo è restaurare le foto dell’infanzia dell’Universo alle loro condizioni originarie, eliminando il logorio del tempo e dello spazio che ha distorto queste immagini”, spiega Neelima Sehgal, astrofisico della Stony Brook University. “Solo osservando le più accurate foto d’infanzia dell’Universo possiamo scoprire con precisione come è nato”.

Non solo come, ovviamente, ma anche quando. Le osservazioni di Sehgal e del suo team hanno permesso infatti di calcolare con precisione l’età dell’Universo, ottenendo un risultato in linea con quello previsto dal modello standard, e con i dati raccolti dal satellite Plank dell’Esa, anche questo dedicato allo studio della radiazione cosmica di fondo. “Ora sappiamo che Plank e l’Atacama Cosmology Telescope hanno ottenuto lo stesso risultato”, sottolinea Simone Aiola, ricercatore del Flatiron Institute’s Center for Computational Astrophysics di New York City e primo autore di uno dei nuovi studi. “E questo ci dice che queste difficilissime misurazioni danno risultati affidabili”.

Le analisi che suggeriscono un’età più giovane per l’Universo, a differenza di quelle dell’Atacama Cosmology Telescope si basano sull’osservazione dei movimenti delle galassie, e in particolare sul calcolo della velocità di espansione dell’Universo, o meglio della costante di Hubble, un valore che mette in relazione velocità con cui le galassie si allontanano e la distanza a cui si trovano. Conoscendo la costante di Hubble, è possibile stabilire da quanto tempo l’Universo ha iniziato ad espandersi, e quindi risalire alla sua età. Le ricerche effettuate studiando i movimenti delle galassie hanno identificato un valore per la costante di Hubble superiore ai 74 chilometri al secondo per megaparsec (la costante esprime una velocità divisa per una distanza). Un valore che renderebbe l’Universo ben più giovane di quanto ipotizzato dal modello standard.
Secondo i calcoli dell’Atacama Cosmology Telescope la costante di Hubble sarebbe pari invece a 67,6 chilometri al secondo per megaparsec. Un valore in linea con i 13,8 miliardi di anni ipotizzato dal modello standard, e soprattutto, pressoché identico a quello stimato dal satellite Plank, pari a 67,4 chilometri al secondo per megaparsec. E anche in questo caso, la somiglianza tra i due risultati è un motivo in più per ritenerli affidabili.
Newton dimostrò che è la stessa forza a far cadere le mele e a tenere la Luna in orbita intorno alla Terra
. Dunque la legge di gravità funziona su distanze di qualche metro e di 400 mila chilometri. Osservando stelle doppie, gli astronomi hanno verificato che funziona anche a migliaia di anni luce da noi. Ma la regola secondo cui l’attrazione tra due masse diminuisce con l’inverso del quadrato della distanza è davvero universale come Newton solennemente la qualificò?
Lasciando da parte per ora il fatto che la legge di Newton è un caso particolare della relatività generale di Einstein, e precisamente il caso nel quale lo spazio è sostanzialmente euclideo, per le grandi distanze abbiamo due osservazioni con cui fare i conti: 1) da più di mezzo secolo si sa che le galassie non ruotano rispettando Newton se consideriamo solo le loro stelle; 2) dal 1998 è noto che l’universo lontano accelera il suo moto di espansione come se avvertisse una sorta di gravità negativa o anti-gravità.
Per spiegare la prima osservazione senza congedare Newton, gli astrofisici hanno introdotto la materia oscura: così le stelle diventano “traccianti” di qualcosa che non si vede e tutto funziona rispettando l’inverso del quadrato. Per spiegare la seconda osservazione la procedura adottata è simile, ma questa volta si ipotizza la presenza di una energia oscura.
L’esito finale è imbarazzante: perché i conti tornino salvando Newton, la materia oscura deve rappresentare circa il 25 per cento dell’universo e l’energia oscura circa il 70. Conclusione: del cosmo conosciamo direttamente (si fa per dire) soltanto il 5%.

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